giovedì 26 febbraio 2009

Tregua


Fermati un attimo, dal tuo correre incessante, dal tuo rispondere e dare, dal tuo dubitare e riflettere, dal tuo decidere e agire.
Fermati in un prato verde, vicino ad una sorgente, all'ombra di un albero in un caldo giorno di primavera.
Chiudi gli occhi, e lasciati sfiorare dalla brezza tiepida che ti accarezza il viso, che passa lieve sulla tua fronte, sulle palpebre abbassate, e giu' fino ad avvolgerti tutto in un abbraccio leggero.
Lascia andare i tuoi stanchi pensieri, che alleviati dei pesi del quotidiano, veleggiano sull'onda delle rare nuvole sfioccate sull'azzurro, attraversano un mare placido dalla superficie appena increspata di vento, e giungono integri in porto, dove trovano accoglienza incondizionata, dove possono riposare e recuperare la loro forza, per poi riprendere il viaggio verso di te, portandoti maggiore certezza e tranquillità.
Io ti guardo da lontano, sullo stesso prato, al margine dell'ombra dello stesso albero. Vedo la tua espressione infine rilassata, vedo il timore che ti abbandona, vedo finalmente un'aura serena poco sopra il tuo volto. E la mia anima che si è alzata in volo a seguire i tuoi pensieri liberati, librandosi nell'aria senza più peso, sopra quel mare tranquillo, cercando di fondersi in quelle nuvole candide, per arrivare allo stesso porto, e trovarvi pace mentre tu riposi, si lascia andare in un abbraccio infinito con il raggio di sole che finalmente filtra, si intreccia al tuo sentire e torna da te, senza rumore, senza disturbarti, e senza che tu nemmeno ti accorga che una lacrima calda e salata scivola sulla tua guancia e svanisce, senza lasciare traccia...
E' un attimo lungo un giorno, poi il sole tramonta, la luce sbiadisce, l'immagine sfoca e ritorno alla vita di sempre, ma sento che corri più piano, che respiri tranquillo, ed io piano respiro con te.


scritta il 27/2/2008

lunedì 23 febbraio 2009

Delirio

Tra pareti di cristallo invisibile
qualcuno deve avermi imprigionato
Non le vedo, ma frenano in ogni direzione
la mia corsa scomposta
alla ricerca di te
Ti vedo da lontano, tendo una mano
ma tocco solo un freddo schermo impietoso
Mi lancio con tutto il mio corpo
nel tentativo di raggiungerti
ma le mie membra stanche si schiantano
su un muro che non posso vedere nè capire
E continuo, incurante dei lividi,
del sordo dolore che sento
a provare, cercare nuovi percorsi, angolazioni diverse
nella speranza di incrinare quelle pareti
di trovare una breccia
di poter correre veloce come il vento
ad abbracciarti.
Non posso.
Il mio cuore sanguina lontano dal tuo
e le mie labbra riarse anelano il contatto
con le loro gemelle
di la dal vetro, di là dal tempo e dallo spazio
Mi scorri dentro, flusso di lava bollente
Fuori il gelido contatto del ghiaccio
Quanto potrò resistere?

scritta il 4/10/2008

giovedì 19 febbraio 2009

Lacrima


Risali con l’indice la scia umida
che solca la mia guancia,

amore.

Ti porta alla stella
che brilla nei miei occhi
La mano si allarga
in una dolce carezza
Io piango
e tu, impotente,
maldestro,
raccogli il sale delle mie lacrime
e ne sconti, incredulo
la tacita
richiesta
d’affetto.

scritta il 30/10/2008

domenica 15 febbraio 2009

Sii paziente...



Sii paziente verso tutto ciò che è irrisolto nel tuo cuore e
cerca di amare le domande
che sono simili a stanze chiuse
e a libri scritti in una lingua straniera.
Non cercare ora le risposte che non possono esserti date
poichè non saresti capace di convivere con esse.
E il punto è vivere ogni cosa.
Vivi le domande ora.
Forse ti sarà dato, senza che tu te ne accorga,
di vivere fino al lontano giorno in cui avrai
la risposta.

Rainer Maria Rilke

mercoledì 11 febbraio 2009

Un giorno nuovo



Guardo lontano
in questa gelida alba rossa
di fine novembre
Pagine di cui ancora non conosco il senso
mi scorrono davanti agli occhi
vorrei sfogliarle più in fretta
per trovare il finale
Qualcuno mi ha reso più forte
con il suo essere freddo,
ma non più fredda
con il suo essere forte.
Devo mettermi in viaggio
verso una meta che ancora
non conosco,
ma ancora, pigra, indugio
nel calore di un ricordo
di una carezza lontana
di due dolci parole
perdute.
Attimi,
si leva il sole,
ed è un giorno nuovo.

scritta il 27/11/2008

lunedì 9 febbraio 2009

Arco...



Arc-en-ciel, Arcobaleno.
Un Arco che unisce terra e cielo.
La filosofia Zen ci dice che l'arciere non deve interferire con il suo arco, perchè anch'esso collega terra e cielo.
Amo tirare con l'arco.
Amo il vuoto di pensieri che necessariamente devo fare per potermi concentrare sui movimenti, sulle posizioni, sulla sequenza che deve portarmi, per ogni tiro, ad essere solo una parte di un sistema perfettamente coordinato che con naturalezza lascia partire una freccia verso l'unico punto in cui può andare, se tutto è perfetto.
Ben lontana dalla perfezione, le rare volte che mi avvicino alla sequenza corretta lo percepisco dapprima nel momento del rilascio, lo percepisco soprattutto dai rumori: il rumore secco della corda dell'arco, il silenzioso fruscìo della freccia che parte, il bellissimo rumore ovattato di quando si conficca diritta nel paglione, e se il rumore è quello giusto, non può che essere nel giallo che ritroverò la mia freccia.
Sono tanti i controlli da fare dal momento in cui si alza l'arco per caricarlo, fino alla decisione dello scocco, e se qualcosa non è come dovrebbe, se si arriva in trazione sentendo che qualcosa non va, bisogna avere il coraggio di riabbassare l'arco, e ricominciare da capo. Può sembrare una piccola sconfitta, ma peggio sarebbe lasciar partire una freccia già sapendo che andrebbe persa, che sarebbe un ripiego, per non perdere tempo, per non "sprecare" un gesto.
Mi piace pensare che sia paragonabile ad alcune cose della vita: quando intraprendi una via e ti accorgi che qualcosa non va per il verso giusto, sarebbe meglio tornare indietro e ricominciare, invece di proseguire ugualmente, perchè il risultato non sarà lo stesso. E anche qui non è importante solo dove miri, ma tutto ciò che fai per arrivare all'obiettivo.
Amo avere comunque alla fine un riferimento preciso, oggettivo, che conferma o smentisce la correttezza di quello che ho fatto, che ricompensa la mia concentrazione e la mia dedizione in maniera inequivocabile e misurabile, per me come per gli altri: nella vita scagliamo molte frecce, sarebbe bello avere sempre modo di verificare, andando a recuperarle, se sono andate in centro oppure no...Spesso invece ci dobbiamo accontentare di riferimenti oggettivi, di impressioni, sensazioni, sguardi e parole, e non sempre riusciamo a capire correttamente se abbiamo colpito il "giallo"...
Amo tirare con l'arco, e il tempo che dedico a questa attività mi alleggerisce l'anima e i pensieri, mi dona calma e soddisfazione, aspetto fiduciosa il momento in cui anche io mi sentirò sempre più spesso parte di quel continuo che unisce terra e cielo, e più raramente ad esso un maldestro intralcio.
E allora non ci sarà più molta differenza tra il mio arco e... un Arcobaleno.

sabato 7 febbraio 2009

In città la pioggia non ha odore


Piove.
Sono giorni che piove nella mia città.
E' tutto grigio, lucido, la sera le luci si spaccano in mille riflessi colorati che mi confondono la vista.
Al mattino presto sembra che il sole non debba sorgere mai, e lo riconosco appena, pallido, più simile alla luna...
Vista dalla parte del cielo, la pioggia è sempre uguale. Ma le sensazioni che mi dà non sono sempre le stesse: io non odio la pioggia, eppure in questo momento vorrei che smettesse.
Chiudo gli occhi per un attimo, mi concentro e provo ad immaginare...sono in montagna, percorro un sentiero tra gli alberi, e piove. Il rumore delle gocce è diverso a seconda che cadano su foglie, sull'erba, sul legno di una palizzata o su una roccia. Ma la cosa più forte, più unica, è l'odore tipico che si sprigiona dal bosco, dalla terra, quando piove. Muschio, polvere, resina, tutto si mischia e si esalta, potrei stare ore, riparata sotto un albero folto, ad ascoltare i suoni e a godermi l'odore, l'odore della pioggia.
Riapro gli occhi, continua a piovere. Le gocce rigano il vetro della finestra che ho scelto come schermo per la mia riflessione.
Li chiudo di nuovo: sono al mare, su una spiaggia deserta, d'inverno, e piove...Ci sono onde alte che si infrangono sugli scogli, e l'odore che sento è quello del mare, della sabbia bagnata, della salsedine che l'acqua dal cielo in qualche modo lava via riportandola al mare da dove è venuta...
Ecco, ecco qual'è la differenza, ecco perchè mi sembra diversa: in città la pioggia, la stessa pioggia, non ha nessun odore, chiudendo gli occhi mentre cammino in una via del centro posso sentire il rumore della gente che affretta il passo, gli urti degli ombrelli, le frenate delle auto...ma nessun odore particolare, nulla di diverso dal solito smog, dal profumo di dolci che esce da una pasticceria, dell'aroma di caffè da un bar, uguali anche col bel tempo.
Amo la pioggia, ma non nel posto dove vivo, la amo in mezzo alla natura, perchè si fonde con essa e la modifica in maniera percepibile con i sensi, l'udito, l'olfatto. E in quella situazione amo lasciarmi bagnare dalla pioggia, mentre in città resto sotto il riparo del mio ombrello, e impreco contro l'acqua che si infiltra da tutte le parti, per colpa delle pozzanghere, degli automobilisti sbadati, della fretta.
Amo la pioggia e il suo odore, ma in città no,
in città la pioggia non ha odore.

giovedì 5 febbraio 2009

Per fare a meno di te

"Baciami..."
"Ma...senti, ne abbiamo parlato...ricordi?"
disse lui arretrando leggermente, senza distogliere lo sguardo dagli occhi di lei che lo guardavano quasi imploranti.
"Lo so....ma baciami...per favore"
"No, davvero...è meglio che vada ok? A domani"
Dopo un attimo di esitazione, le diede un leggero bacio sulla guancia, le voltò lentamente le spalle, e s'incamminò verso la porta di casa.
Lei rimase immobile con lo sguardo nella direzione in cui lui si era allontanato, sentiva una scia calda scenderle giù per la guancia, e un velo sottile annebbiarle gli occhi.
Non ci era riuscita. Ancora una volta non aveva tenuto fede ai suoi buoni propositi, quelli di rimanere indifferente, di non lasciarsi portare da quello che sentiva, e che era, purtroppo, a senso unico.
Per lui era semplice mostrarsi amico, non era innamorato, non era coinvolto, e le aveva detto chiaramente che non aveva nessuna intenzione di continuare con lei qualsiasi cosa che andasse oltre una buona amicizia. Ma lei non poteva, non ci riusciva, ogni volta che gli si avvicinava sentiva un fremito, ogni volta che lo sfiorava camminandogli accanto, al suo allontanarsi istintivo, forse casuale, sentiva tutto il dolore di un rifiuto, e si sentiva ferita nel profondo, respinta.
E anche questa volta si era mostrata in tutta la sua fragilità, aveva lasciato spazio a quella recondita speranza che, anche se non lo voleva ammettere, non era ancora morta dentro di lei, e che, ogni volta che si avvicinava a lui, le mandava dolorosi segnali della sua presenza.
E come tutte le volte, ora aveva una sensazione di oppressione, di rabbia e delusione miste a impotenza. Rabbia perchè non riusciva a controllarsi, delusione perchè la sua intrinseca speranza che lui cambiasse idea veniva costantemente disillusa, impotenza perchè lei non riusciva a fare nulla per cambiare le cose.
Non sopportava di vederlo scherzare maliziosamente con altre, era insensatamente gelosa, era ipersensibile verso qualsiasi suo atteggiamento di indifferenza o mancata attenzione, stava male per un nonnulla. E ogni volta che lui le chiedeva amichevolmente un favore o un'informazione, lei si faceva in quattro, non che si aspettasse qualcosa in cambio, ma era sempre una potenziale occasione per scorgere un segnale, un piccolo indizio che potesse assomigliare a un riavvicinamento...ma erano sempre illusioni, e tutto finiva sempre come stasera.
Stasera era stato anche peggio, perchè lei si era esposta, aveva messo a nudo la propria fragilità, e ne era uscita sconfitta, come era prevedibile, se solo avesse dato ascolto alla propria ragione, invece che al cuore.

Era buio, i lampioni che costeggiavano la strada di periferia proiettavano un alone incerto che della luce aveva ben poco, ma che si rifletteva sull'asfalto lucido per la pioggia recente; faceva freddo e l'aria era umida e pungente.
Lei si riscosse dai suoi pensieri, e si avviò verso la macchina, parcheggiata poco lontano.
Domani sarebbe stato un altro giorno, e ancora avrebbe lottato contro se stessa, contro la propria fragilità, contro questo desiderio non corrisposto che ormai da mesi le rovinava la vita.
Domani avrebbe riprovato a trovare un modo, una via, avrebbe provato a concentrarsi su altre cose e su altre persone, avrebbe ripetuto a se stessa che non è possibile imporre se stessi a nessuno, e il proprio valore non è diminuito da chi non lo apprezza.
"Amor che a nullo amato amar perdona" aveva detto il Poeta tanti e tanti anni fa, ma il sospetto che fossero solamente splendidi versi e non esprimessero una verità oggettiva lei lo aveva sempre avuto, forse era la sua esperienza, quella di aver amato il più delle volte senza essere corrisposta...
Mise in moto l'auto e accese la radio, alzò il volume sentendo le prime note di una bella canzone di Giorgia ,dal titolo quanto meno tempestivo: "Per fare a meno di te", e partì, con gli occhi pieni di lacrime, sulla strada di casa.



lunedì 2 febbraio 2009

Cenere







Apri lentamente,
controvoglia
il pugno che hai stretto
forte
contro tutto e tutti
fino a farti sanguinare
la mano
Le dita contratte
cedono una ad una
e sul tuo palmo
bluastro
scopri ora
soltanto
cenere.